Respiro fiorito dell'autunno a Marettimo. Fotografia del sentire

Marettimo, la più lontana e la più alta, custode di preziosi endemismi delle isole Egadi, al mattino appare con l’alba che scalda
le case dipinte di bianco e le imposte blu che richiamano le onde, una piccola linguetta antropizzata con il suo porto raccolto.
È un’isola che, al primo passo, incita al cammino: a entrare nel bosco di pini d’Aleppo, a incamminarsi tra i sentieri e le mulattiere,
a salire. Oggi in cima ci sono nuvole che si muovono lentamente, si sfumano sulle vette. Da un lato il mare, che con i suoi riflessi
brilla e illumina anche gli occhi di piacere; dall’altro la prima vegetazione, un respiro che mi accoglie e mi accompagna per tutto il percorso.
L’erica multiflora, con i suoi rosa accesi, spicca; il rosmarino, coi fiori lilla, le si affianca. Una vegetazione libera di esprimere il piacere,
che lascia solo qualche punto alla roccia per emergere e scaldarsi.
Le nuvole scivolano seguendo i miei passi, come per disegnare una linea da seguire fino alle rocce calcaree dolomitiche, dove il lentisco
si aggrappa e, fedele ai punti più impervi, cresce appagato.
Con questa luce che si alterna ai bei raggi di sole, la pietra si fa avorio e i grigi diventano caldi, vicini alle infiltrazioni ferrose
che donano dinamismo agli strati di roccia.
Rifugio di molti uccelli, questo luogo mi offre il volo di un’aquila che osservo incantata, forse un’aquila di Bonelli, che gira e danza col vento.
Poi la chiesetta bizantina, punto prezioso nel quale sgorga una sorgente d’acqua purissima, dove affacciandosi ci si può tuffare
con lo sguardo e con il cuore.
Due crisoline, amanti del rosmarino, fanno l’amore. I fiori di rosmarino riempiono i miei respiri e addolciscono la mia bocca. Camminando sento solo
tanta emozione e fiorisco ancora una volta insieme alla vera casa: la natura.
Ogni tanto il cisto spicca con qualche fiore tra i tanti ormai sfioriti ed è ancora l’erica multiflora che, con sorellanza, lo arricchisce e lo esalta.

Inizio a vedere Punta Troia, sulla punta nord-est: una lingua rocciosa di pietra chiara che si innalza, la fortezza medievale che risale al XIV secolo.
Dal punto in cui mi fermo a osservarla, la vegetazione sotto di me riecheggia e chiede attenzione. Non voglio distrarmi, così scatto e continuo, sentendo
ogni passo importante, sincero, coerente col mio trovarmi qui.
E finalmente anche i “barranchi”, chiamati così dagli abitanti, mi appaiono maestosi, veleggiati dalle nuvole. In ogni fessura nasce con passione l’erica,
il rosmarino, l’euforbia arborea, il cisto, il lentisco, con i licheni che schiariscono la macchia creando un contrasto armonioso.
Arrivo in spiaggia, allontanandomi un po’ dal castello: una spiaggia mesta e affascinante. Le onde creano una schiuma bianca addolcita dai riflessi
azzurri; contemplo il loro movimento che mi entra negli occhi inondandoli. In alto, la luna tra le rocce scure modellate dal carattere delle onde.

Da lì il mio ritorno si apre con il mare davanti lasciando dietro le montagne altissime, con una striscia antropizzata che piano piano scompare.
L’acqua assorbe la prima luce del tramonto, sulla roccia i disegni delle stratificazioni emergono nella loro lunga storia, mentre una nuvola
si fa maestosa, ricordando la vetta.